domenica 27 febbraio 2011

Se hai una montagna di neve, tienila all'ombra

Che cosa è per voi la cultura? Se l'è domandato, e l'ha domandato agli italiani, famosi e non, Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale di Bompiani e regista, in “Se hai una montagna di neve, tienila all'ombra – Un viaggio nella cultura italiana”; un documentario da lei girato, presentato al Festival del Cinema di Venezia e che ho avuto la fortuna di vedere al cinema una settimana fa.
Per tutti questi giorni, dopo averlo visto, ho continuato a pormi la stessa domanda che è stata fatta nel film senza trovare una risposta. Troppo facile e sbrigativo rispondere che è un argomento vasto e complicato. Troppo facile fare mia una delle risposte ascoltate nel documentario. Volevo trovare una definizione che scaturisse da me e dalla mia esperienza della e sulla cultura.
Giovedì mi è capitato di leggere un articolo scritto da Claudio Magris sullo scrittore Edouard Glissant e un brano in particolare mi ha colpito:

E' una crescita in cui l'identità si costruisce di continuo nella relazione con l'altro, arricchendosi e trasformandosi senza snaturarsi, in una “erranza” della scrittura e della vita stessa, che si rinnova nell'incontro con l'altro. «Ogni realtà è un arcipelago; vivere e scrivere significa errare da un'isola all'altra, ognuna delle quali diventa un po' la nostra patria. Ogni identità esiste nella relazione, è solo nel rapporto con l'altro che cresco, senza snaturami. Ogni storia rinvia a un'altra e sfocia in un'altra».
Dopo averlo ricopiato sul mio quaderno, mi sono accorta che a colpirmi in modo particolare erano alcune parole: crescita, identità, relazione, l'altro, incontro, realtà, patria e storia.
E oggi, in uno di quei momenti in cui la mente non è impegnata a fare nulla di particolare ed è quindi libera di pensare, ho trovato che cosa è la cultura per me: INCONTRO.
Che sia l'incontro con un libro, un quadro, una canzone, un cibo, una tradizione, una persona... e l'elenco potrebbe continuare all'infinito; ogni volta è un granello che si va a depositare e a formare quella che poi sarà la montagna della cultura. Ed è una cosa così volubile e inafferrabile, la cultura, che è come una montagna di neve. Va tenuta all'ombra, se la si vuole preservare.



mercoledì 23 febbraio 2011

Ogni passo apre una pagina

Sembra ieri, quando mi recai in biblioteca e per caso curiosai tra le brochure, tra i volantini e trovai quello del corso di scrittura creativa. Ricordo che lo lessi e lo rilessi, lo rigirai tra le mani, indecisa su che cosa fare. Alla fine optai per chiedere informazioni, non volendo confessare a me stessa di sapere già di volermi iscrivere.
La lunga attesa, al punto che arrivai a credere che non se ne sarebbe fatto più nulla, e poi finalmente la sorpresa della e-mail in cui mi comunicavano l'inizio del corso.
Infine il primo e tanto atteso incontro; l'emozione e il timore, la paura di incontrare persone abituate a scrivere con una certa frequenza, racconti, poesie, pagine su pagine, quando io ero solita buttare giù qualche riga in quello che chiamavo il mio diario e ora è il mio quaderno. La scoperta che a unirci e ad averci fatto andare lì quella mattina era la stessa curiosità verso la scrittura e nient'altro.
E soprattutto la condivisione: l'emozione di leggere ad alta voce i nostri primi tentativi di scrittura creativa, i consigli della docente, lo scambio di opinioni e impressioni, segreti, sentimenti e ricordi che fino a quel momento erano stati celati in fondo ai nostri cuori e che la scrittura ha liberato. Il tutto privo di giudizio, ma condito da un comune amore per i libri, la lettura e la scrittura.


E' già tutto finito. Questo è quello che ho pensato sabato all'ultimo incontro. E' durato troppo poco, mi dicevo, come farò senza tutto questo? Ma, pensandoci meglio, in realtà questo corso è stato solo un inizio. Quello che abbiamo fatto in questi cinque incontri è stato intraprendere un cammino.


Il mondo è un libro del quale ogni passo ci apre una pagina.
Alphonse de Lamartine
E' stato bello incrociare i vostri passi. Grazie.


domenica 20 febbraio 2011

Domenica sera

Metti a frutto le cose che ti circondano.
Questa pioggerellina fuori della finestra, per esempio.
La sigaretta che tengo tra le dita,
questi piedi sul divano.
Il suono del rock-and-roll sullo sfondo.
La ferrari rossa che ho in testa.
Mettici dentro tutto,
mettilo a frutto.

Raymond Carver

mercoledì 16 febbraio 2011

...life; London; this moment of June.

Dal diario di Virginia Woolf:

Sabato 14 ottobre 1922
La signora Dalloway si è ramificata in un libro; abbozzo qui uno studio della pazzia e del suicidio; il mondo visto dal sano e dal pazzo, fianco a fianco... o qualcosa di simile.
Martedì 19 giugno 1922
Ma io, che cosa sento nei riguardi del mio lavoro, di questo libro, cioè Le ore, ammesso che si chiami così? Il lavoro deve nascere da un sentimento profondo, diceva Dostoevskij. E' il mio caso questo? O mi limito a inventare con le parole, amandole come le amo? No, non credo. In questo libro ho anche troppe idee. Voglio dare la vita e la morte, la saggezza e la follia; criticare il sistema sociale e mostrarlo all'opera, nel momento di massima intensità.
Sabato 29 agosto 1923
Interminabile lotta con Le ore, che si dimostra uno dei miei libri più stuzzicanti e insieme più riottosi. Ha parte bellissime e parti bruttissime; m'interessa molto; non so smettere di costruirlo, eppure... eppure. Che ha questo libro?... Devo solo notare questo curioso sintomo; la certezza di continuare, di farcela, perché scriverlo m'interessa.
Giovedì 30 agosto 1923
Avrei molto da dire a proposito delle Ore e della mia scoperta: come io scavi bellissime caverne dietro i miei personaggi; questo mi sembra dia proprio ciò che voglio: umanità, profondità, umorismo. L'idea è che le caverne siano comunicanti e ognuna venga alla luce al momento giusto.
Lunedì 15 ottobre 1923
Adesso continuerò a scriverlo finché, in tutta onesta, non sarò più in grado di vergare un'altra riga.
E' stata una lettura difficile. Più di una volta riprendendo in mano “La signora Dalloway” sono dovuta tornare indietro di qualche pagina. Era come entrare in una stanza buia con gli occhi ancora accecati dal sole; gli oggetti emergono lentamente dall'oscurità. Allo stesso modo, leggendo, vedevo emergere persone, sentimenti, significati.
Sono sicura che se iniziassi a rileggerlo subito nuovi significati affiorerebbero, noterei altri particolari che mi sono sfuggiti e mi perderei nuovamente, un po' confusa ma soprattutto meravigliata, nelle caverne scavate da Virginia Woolf.
Come una bambina al circo, incantata davanti a un prestigiatore, l'ho osservata fare magie con le parole, tratteggiare in poche righe un' attimo, un istante, il passato, il presente, la vita.

... life; London; this moment of June.”


venerdì 11 febbraio 2011

L'esatta sequenza dei gesti

Ne ho avute di diversi modelli. Le ultime erano in stoffa, rosa pallido, di cotone spesso, ruvido, resistente. La suola non era un pezzo unico, ma due cerchi separati, di pelle credo. Un cerchio sotto il tallone e uno subito sotto le dita dei piedi, al di sotto dei quali era cucita la stoffa, in tante pieghe perfette. Descritta così sembra molto spessa come suola invece, una volta calzate, sembrava di stare a piedi nudi. Un elastico, anche lui rigorosamente rosa, aiutava a tenere ferme le scarpette, così come il nastro che correva lungo tutto il bordo e che si poteva stringere a piacere, stando ben attente però a nascondere il fiocco, come ci aveva insegnato la maestra di danza.
Una volta calzate ti dimenticavi di averle ai piedi ed era strano come, costretto nella scarpetta, si sentisse il piede libero di muoversi. Al punto che, per molto tempo, ho avuto molta più difficoltà a stare scalza.


Mi manca ballare. Mi mancano le lunghe, intense e faticose lezioni. Me ne accorgo ogni volta che assisto a un balletto. I muscoli in tensione come se dovessero compiere loro i movimenti, ogni fibra del mio corpo presente nella mia mente; perché è così che ho imparato a “guardare”. “Mai guardarsi allo specchio mentre si balla” mi è stato insegnato, il movimento ho dovuto imparare a sentirlo, non a vederlo.
Mi manca, prendendo in prestito il titolo di un libro, l'esatta sequenza dei gesti.




martedì 8 febbraio 2011

La vita in capitoli

un'assurda propensione a ridurre la vita a un concept eventualmente buono per un racconto è spesso alla base dell'ambizione letteraria. “Sono qui per una ragione ben precisa; questi momenti – il lato brutto della vita – si trasformeranno in altrettante pagine”. Gente così in genere sconta una certa micidiale incapacità a viverla, la vita, già che è per lo più occupata a copiarla mentalmente e a dividerla in capitoli.
La vita si disciplina nel racconto, scrivere è un modo di mettere ordine, di dare forma geometrica, di scandire tempi, di coniare sequenze. Con una cura maniacale, le mani dell'artigiano sgrossano il reale e gli danno la solidità, la coerenza, la maneggevolezza di qualcosa che la gente può impugnare, e usare, e passarsi di mano in mano. Poco altro potrebbe definire più esattamente il compito di chi scrive storie.

Alessandro Baricco


domenica 6 febbraio 2011

Remembrance

Quando il matrimonio era solo un'ipotesi, il nostro segreto, e la data non era ancora stata scelta, ho trovato in una libreria di reminder un libro che non ho potuto fare a meno di comprare.


Ho già raccontato di come mi diverta leggere di tutto ciò che riguarda il galateo, le usanze e le tradizioni. Questo non sempre significa che io le rispetti a tutti i costi, ma mi fa piacere esserne a conoscenza, mi permette di essere una donna consapevolmente irrispettosa!
Questo galateo in miniatura, sta nel palmo di una mano, con uno stile e un linguaggio che mi ha ricordato l'Enciclopedia della Donna, è stata una piacevole e frivola lettura. Ed è stato bello, attraverso le sue pagine, sognare e immaginare il nostro giorno del sì.
E' in questo libro che ho preso spunto per le decorazioni floreali della chiesa e del mio bouquet da sposa. Qui ho letto dell'usanza tutta inglese di preparare mazzolini di nozze con il rosmarino, il cui significato è la fedeltà e il ricordo.


Immaginerete la mia sorpresa quando, il primo giorno del nostro viaggio di nozze a New York, durante una soleggiata passeggiata a Central Park, ho trovato questo:



mercoledì 2 febbraio 2011

A te, Anima Invincibile




Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo che va da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista
per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa del caso
non ho arretrato nè ho gridato d'angoscia.
Sotto la scure della sorte
il mio capo sanguina ma non si piega.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l'Orrore dell'ombra,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto pieno di castighi il destino.
Io sono il padrone della mia sorte:
io sono il capitano della mia anima.

William Ernest Henley