lunedì 24 ottobre 2011

Ho imparato

Ho finito di leggere “I promessi sposi”. Finalmente, mi verrebbe da aggiungere.
Perché non ho nascosto le difficoltà che ho incontrato nella lettura di questo libro, che ho trovato un po' lento e a tratti noioso. Avete presente il capitolo sulla peste? Lo ammetto, l'ho saltato. Quando ho visto che non parlava nello specifico di Renzo, Lucia o di uno dei protagonisti del libro, sono passata al capitolo successivo. Ho barato, lo so, e un po' me ne vergogno. Ma ero davvero curiosa di sapere come andava a finire, soprattutto volevo scoprire come Manzoni avrebbe risolto la questione del voto a Maria fatto da Lucia, sono un po' superstiziosa su queste cose... Mi prendete per pazza se vi dico che per un attimo ho addirittura pensato che non mi piacesse più leggere? Pensiero che mi sono affrettata a scacciare.
Insomma, questa lettura si è rivelata una via crucis e da quando ho terminato il libro sto riflettendo proprio su questo: che cosa dire a un liceale che giustamente potrebbe chiedere il motivo per cui obbligano ancora a leggere Manzoni, quando anche una lettrice “forte” come me ammette di avere avuto grosse difficoltà? Già... cosa dire?
La vita purtroppo è costellata di cose noiose, pesanti, di cui non si vede mai la fine e che, anche se controvoglia, si è obbligati a portare a termine, o almeno a cercare di farlo, e che spesso le maggiori soddisfazioni arrivano proprio da queste. Quindi la lettura di un libro lungo e noioso non è la cosa peggiore che potrebbe capitare ed è un buon modo per allenarsi a tenere duro.
A una fanciulla direi di leggerlo per sapere come è nella realtà, nella vita di tutti i giorni, una vera storia d'amore; per imparare che amare spesso va in coppia con lottare. A un fanciullo lo consiglierei per vedere che cosa significa essere un vero uomo, non gettare la spugna alle prime difficoltà e soprattutto avere il coraggio di andare « a sincerarmi di tutto in una volta... sentirò da lei proprio, cosa sia questa promessa...», per imparare che cos'è il coraggio di guardare in faccia la realtà.
Ad entrambi lo consiglierei per comprendere la magia dell'imparare e della vita, di cui i libri per me sono ottimi maestri e metafora. Perché anche se nell'immediato la vita o i libri possono sembrare confusi, incomprensibili e inutili, quando uno meno se la aspetta tutto acquista un senso, e anche quella lettura che ti era sembrato tempo sprecato e che non ti avevo detto nulla, potrebbe tornare a parlarti.

Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire: «Ho imparato,» diceva, «a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardar con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa calda:ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che ne possa nascere.»


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