venerdì 28 ottobre 2016

In trincea


Ma come facevano? Me li immagino immobili, con ore interminabili che si srotolano davanti a loro, con qualsiasi tipo di condizione atmosferica: sole, pioggia, caldo, freddo, neve... Con niente da fare se non aspettare, con nulla a cui aggrappare gli occhi in cerca di un segno se non un muro di terra. Sepolti vivi. Ma come facevano durante la guerra di trincea? Quando l'unica cosa che potevi fare era appunto aspettare, secondi, minuti, ore, giorni: tutti irrimediabilmente uguali identici a se stessi. Il tempo scandito dai pasti, i pochi ordini ricevuti, i giorni di festa quando arrivava la posta. Che cosa vuol dire aspettare? Non sapendo neanche bene che cosa. Di andare in guerra. Qualcuno l'aveva già incontrata, altri no, scaricati direttamente in trincea e lì rimasti. Contro quale nemico, se non l'hai mai visto in faccia?
E' una guerra difficile quella dell'attesa, ti logora dentro, sgretola la tua volontà, il tuo essere, non riesci più a immaginare un futuro, perché non esiste un presente, quando non c'è orizzonte o non riesci più a immaginarlo.
A che cosa ti aggrappi per non impazzire? Che cosa stringi a te come un salvagente per non annegare? Che cosa non ti fa gettare la spugna?
Vorrei poter dire di aver trovato la risposta, ma la verità è che l'unica soluzione che ho sperimentato finora è quella del morto: sono a galla. Ho abbandonato gli ormeggi, mi lascio trascinare dalla corrente, in balia delle onde, non oppongo resistenza. Ogni tanto affondo, cullata dal canto delle sirene: dormire, dimenticare, svanire... Ma i miei polmoni reclamano, trafitti da lame, riemergo senza fiato, abbagliata dalla luce: sono viva. Ora è tutto quello che so fare.
Vorrei dare prova di essere coraggiosa, intraprendente, una guerriera, una lottatrice, piena di slanci e iniziative. Non sono nessuna di queste cose. Sto sopravvivendo, nella mia guerra di trincea. Non voglio nessuna medaglia al valore. Non l'ho mai voluta. Voglio solo tornare a casa.

Vi siete mai ritrovati a combattere una vostra personale guerra di trincea? Cosa avete escogitato per sopravvivere? I vostri consigli sarebbero davvero preziosi per me.

lunedì 17 ottobre 2016

Questione di feelings


In principio furono stupore, sgomento, tristezza e paura. Poi arrivarono l'autocommiserazione e la solitudine. «Io sto male e il mondo non si ferma?», «Nessuno può comprendere il mio dolore. Nessuno soffre come me». E poi si aggiunsero la rabbia e l'invidia. «Perché questo a me? Perché ancora a me? Perché la vita si accanisce con me?», «Perché agli altri va tutto bene? Perché gli altri ottengono tutto ciò che vogliono senza alcuno sforzo? Perché loro vedono esauditi i loro desideri e a me si chiudono solo porte in faccia?». Condito il tutto da senso di colpa e vergogna, per aver provato e provare sentimenti simili.


Sentimenti di cui non so che farmene, che mi fanno sentire miserabile e cattiva, una brutta persona. Sentimenti che sono faticosi da allontanare, che non mi vogliono abbandonare, che rendono le mie giornate ancora più lunghe e difficili. Sentimenti che si è soliti nascondere, ma che mi abitano, che mi posseggono, che temo mi si leggano in faccia.
Ma io le provo tutte queste emozioni, le vivo, alle volte le nutro, le sento mentre mi dilaniano, mi graffiano e mi fanno sanguinare e nelle lunghe ore di tempo che ho a mia disposizione per pensare, condannarmi e torturarmi, non ho trovato altra soluzione che confessare.


Confesso di provare e avere brutti sentimenti, ma non sono una brutta persona, solo vivo le innumerevoli sfumature della vita; di alcune farei volentieri a meno, ma mi si dice (il film “Inside Out” insegna) che se voglio avere una vita arcobaleno e non monocolore, devo accettarle tutte.
E allora cerco di accoglierli, li tengo con me, non li nascondo e non li scaccio più, in attesa di capirne cosa farne, di riceverne un insegnamento, in attesa dell'arcobaleno. Le mie energie le rivolgo a me, a volermi bene, ad accettarmi con le mie debolezze, a cercare di perdonarmi e assolvermi. A non nascondermi più.
God breaks the heart again and again and again until it stay opens.

Hazrat Inayat Khan
E questo è il mio cuore, adesso. Spezzato.

lunedì 10 ottobre 2016

It's business, baby!


Sono stata a lungo in dubbio se scrivere o meno le mie impressioni sul caso “Salone Internazionale del libro” di Torino e il neonato “Tempo di Libri” di Milano; diffido di chi ha sempre un'opinione su tutto. Inoltre non sono un'esperta di editoria: ho fatto un corso, è vero, e ho bazzicato quel mondo per qualche anno lavorando prima come segretaria personale di una giornalista e poi in una agenzia editoriale, ma in fondo sono stata e resto una semplice lettrice e, in quanto tale, molte dinamiche mi sfuggono.
Sono dispiaciuta ovviamente per l'accaduto, perché mi sembra una guerra tra poveri, che si devono spartire una magra pagnotta e ho come l'impressione che, in generale, nessuno ci abbia fatto una bella figura finora... Confesso di non essermi neanche informata più di tanto, ogni fazione tira acqua al proprio mulino e non si capisce mai dove sta la verità, se mai ce ne fosse una; se siete però interessati a leggere qualcosa al riguardo, vi consiglio il blog “Bookblister” di Chiara Beretta Mazzotta, un editor super partes che conosce bene il mondo editoriale, ma soprattutto una lettrice che i libri li ama e li legge: quanto accaduto l'ha nominato “Libriful” e il nome mi sembra molto azzeccato!
Due miei pensieri, però, ho deciso di condividerli, due miei punti di vista che non ho mai cambiato con il passare degli anni. Uno è sui lettori e uno è sull'editoria.
Per raggiungere il mio liceo, per tutti e cinque gli anni che l'ho frequentato, ho sempre fatto un lungo tratto di strada a piedi insieme ad altri compagni; ho un bellissimo ricordo di quelle passeggiate fatte con qualsiasi tempo, durante le quali ci confrontavamo, confidavamo, scontravamo sui più disparati argomenti. Tra questi miei compagni di strada c'era un ragazzo che era un forte lettore e un altrettanto forte acquirente; a differenza di me che ero (e sono) anche una assidua frequentatrice di biblioteche, lui comprava tutti i libri che desiderava leggere, aveva una libreria fornitissima a cui non ho mancato di attingere a piene mani. Ricordo che si lamentava spesso del costo dei libri e che fosse convinto che questa fosse una delle cause dei pochi lettori presenti in Italia. A nulla sono valsi i miei tentativi per fargli cambiare idea, gli esempi e i paragoni: «C'è gente che va a ballare tutti i fine settimana e le discoteche sono altrettanto care. Sai quanti libri potrebbero comprarsi con gli stessi soldi?! Semplicemente non gli interessa leggere!». Lui non si capacitava di questa cosa, ne soffriva proprio. E non veniva quasi mai in discoteca a ballare.
Anni dopo, entrambi universitari con indirizzi di studi differenti, eravamo però ancora alle prese con i nostri dibattiti libreschi, fino al giorno in cui gli spezzai il suo cuore di lettore. Stavo frequentando il famoso corso di tecniche editoriali e condivisi una nozione che avevo appena appreso e che entrambi non avevamo mai considerato: potresti avere in mano il libro più bello del mondo ma, se in quel momento, quel libro non risponde alla domanda del mercato, tu editore non lo pubblichi. It's business, baby...
Per concludere quindi, se in Italia ci sono pochi lettori la causa non è il costo dei libri (anche se io, in quanto lettrice, sarei davvero felice costassero di meno perché ne comprerei molti di più...) e c'è una bella differenza tra chi è interessato a che un libro venga venduto (mercato) e chi è interessato a che venga letto (cultura).
Nonostante i discorsi infarciti di parole come cultura, lettori, promozione della lettura, ecc., ho come l'impressione che la diatriba tra Torino e Milano sia business, baby...

venerdì 7 ottobre 2016

Tutto quello che sappiamo dell'amore


Il tre ottobre abbiamo festeggiato sette anni di matrimonio. Quindici in totale se aggiungiamo anche gli anni in cui siamo stati fidanzati e quello di convivenza. Dove è finito tutto questo tempo?
Sovente mi capita di leggere articoli come questo qui e mi piacciono molto, perché contengono buoni consigli, perché fanno riflettere, perché tentano di dare una risposta su quale sia il segreto per far funzionare un amore, quando tutti sappiamo, come ha scritto saggiamente Emily Dickinson, «Che l'amore è tutto ciò che c'è, è tutto quello che sappiamo dell'amore».


E io? Che cosa ho imparato in tutti questi anni? Più volte mi sono posta questa domanda e tutte le volte non sono riuscita a darmi una risposta, poi la vita, come sempre, ha preso il sopravvento. Ma in questi giorni che mi (ci) mettono alla prova ho voluto prendermi tutto il tempo necessario per pensare al nostro amore, alla strada che ha percorso: le salite, le discese, i guadi, le cadute, i sorrisi, le ginocchia sbucciate, le lacrime. Perché non vorrei un giorno ritrovarmi così:

L'altro giorno – ho perso
un mondo – qualcuno l'ha trovato?
Lo si riconosce dal diadema di stelle
che gli incornicia la fronte.

Potrebbe passare inosservato – agli occhi di un ricco
ma – ai miei occhi parsimoniosi
vale assai più dei ducati.

Emily Dickinson


Ho fatto una lunga camminata a Memory Lane, come la chiamano gli inglesi, ho rivissuto il nostro amore quando era ancora acerbo, l'ho visto crescere e trasformarsi. Non è più lo stesso e non lo sarà mai più. Sarà ogni volta diverso. Nuovo. E non provo nostalgia per quello che è stato e non è più. Ogni cosa a suo tempo.


Eh sì, ho scoperto che una cosa l'ho imparata, ho scoperto che cosa devo continuare a fare se non voglio rischiare di perderlo: guardarlo.
Ripercorrendo le foto (tutte!) dei nostri momenti più belli, ho notato come la nascita di VV abbia spostato il nostro sguardo: non più rivolto a noi due, occhi negli occhi, persi nel nostro amore, ma rivolto verso di lei, il frutto del nostro amore. Non è facile smettere di amarsi, è facile distrarsi e poi, allora sì, perdersi.


Una mattina, poco dopo aver salutato mio marito che andava a lavoro, ed essere rimasta da sola con VV neonata, mi sono resa conto che non avevo idea di come fosse vestito. Che importanza ha, vi domanderete? L'importanza che ti fa realizzare di non averlo guardato; quella che ti fa pensare che non sapresti rispondere a questa domanda: «Signora, si è perso suo marito, ci aiuti a trovarlo, com'era vestito?». Lo sguardo mancato che non ti fa vedere una piega amara nella bocca, la stanchezza, uno sguardo triste o quello complice. Lo sguardo che ti tiene incollato e non ti fa perdere. Non ti perde.
E anche se per ora, la maggior parte del tempo, i nostri sguardi continuano ad essere rivolti a VV, stiamo incominciando a specchiarci nei suoi occhi, e vediamo amore.



lunedì 3 ottobre 2016

Arte alle corti


Sono sempre stata convinta del fatto che non ci sia modo migliore per conoscere una città del passeggiare per le sue strade, perdersi per le sue vie, farsi inghiottire dalla sua geografia. Cartina alla mano o no, ho sempre amato e amo tutt'ora, come mezzo di trasporto, i piedi; l'unico che ti permette la giusta velocità per entrare nell'atmosfera di una città, straniera o casa tua, che ti permette di assaporare odori, colori e suoni.
Fino al 10 novembre c'è la possibilità di conoscere una Torino nascosta grazie a “Arti alle Corti”, un'iniziativa alla sua seconda edizione, pensata proprio come una passeggiata en plein air, un invito a scoprire la città attraverso le corti e i giardini custoditi all'interno dei palazzi cittadini, spesso chiusi al pubblico.

(Palazzo Birago di Borgaro)

«Architetture che diventano musei all'aperto di arte contemporanea... in cui, dall'estate all'autunno, si declina un possibile concetto di arte pubblica. Corti come gallerie, come scene aperte, come luoghi d'arte, capaci di mettersi in gioco e di accogliere e dialogare con opere d'arte.»

(Giardino Palazzo Cisterna)

Alla fine di agosto ho avuto il piacere di trascorrere una bellissima mattinata passeggiando per il centro di Torino, in compagnia di VV, del suo entusiasmo e della sua curiosità. Sono stata in luoghi che non conoscevo, ho attraversato cancelli di fronte i quali chissà quante volte ero passata davanti ma non li avevo mai degnati di uno sguardo, ho ammirato opere d'arte contemporanee all'interno di cornici barocche.

(Palazzo Chiablese)

Non sono un'esperta d'arte; alle superiori la mia insegnante di storia dell'arte era più interessata al disegno tecnico e, le poche volte che affrontava un dipinto o una qualsiasi altra opera, aveva il potere di annoiarmi a morte. Eppure ho sempre frequentato i musei, sono sempre stata attratta dalla comunicazione, di qualsiasi forma essa sia: che sia un libro, un quadro, un'installazione, un video, una fotografia, mi avvicino curiosa di comprendere il messaggio dell'autore, di percepire le emozioni o i sentimenti che mi vuole suscitare. L'ho sempre considerato un gioco ed è così che sto cercando di trasmetterlo a VV. «Che cosa vedi? Che cosa ti sembra? Guarda», sta tutto nell'allenare lo sguardo e la fantasia. Ancora oggi VV ci chiede di raccontarle la storia che inventammo per lei di fronte a una foto di Helmut Newton a Berlino la scorsa estate e, grazie a quella storia, quella foto è così vivida ai nostri occhi, come se l'avessimo appena osservata.

(Palazzo Carignano)

Possono succedere tante cose mentre aspetti, mani in tasca, alla fermata dell'autobus...


QUI tutte le informazioni su “Arte alle Corti”.