lunedì 27 novembre 2017

Cinque cose che non sapete di me


È strano come, in quest'epoca in cui siamo abituati a condividere foto, notizie, pensieri, opinioni anche molto personali, si abbia l'impressione di conoscerci l'un l'altro e come invece, alla fine, si rimanga sempre dei perfetti estranei. O quasi. Quella che si da su Instagram, il blog o Facebook è sempre l'immagine migliore di noi stessi, rivista, corretta, photoshoppata (se solo sapessi usarlo...) perdendo spesso in autenticità. Per fortuna non sempre è così, io per prima sono una grande sostenitrice della sincerità, del non costruito, non programmato e seguo principalmente persone che mi sembrano avere la stessa filosofia. Sono una grande fan dei Social, alcuni almeno, che sono per me fonte di intrattenimento, di confronto, di approfondimento, di scoperta e, perché non ammetterlo, di compagnia, visto che spesso sono sola a casa fino a quando non vado a prendere VV a scuola. Ogni tanto però sento il bisogno di accorciare le distanze, di tendere una mano. Visto però che non posso obbligare nessuno ad aprirsi di più con me, lo faccio io per prima e oggi vi racconto cinque cose che non sapete di me.

IL MIO PRIMO BACIO


Non mi sono mai considerata bella. Ci sono giorni che mi piaccio, altri no, altri così così. Eppure so di essere carina perché mi è stato spesso detto. Ma tra il sentirselo dire e crederlo veramente... Scoprire di piacere a qualcuno, quando ero ragazzina, era fonte di sorpresa: io ero l'amica, quella con cui si scherza, si parla, ci si confida, non quella di cui ci si innamora. La verità è che i miei corteggiatori li avevo ma non li vedevo. Devo ammettere che, per molto tempo, non sono poi stata così tanto interessata, preferivo di gran lunga l'amore dei libri e nei libri. Il mio primo bacio l'ho dato a sedici anni o, sarebbe più corretto dire, l'ho ricevuto; io ero troppo preoccupata e concentrata a capire che cosa dovessi fare e a cercare di non ingoiare il chewing gum che non avevo fatto in tempo a sputare. Lui sarebbe poi diventato il mio primo grande amore, quello a cui penserò sempre con molto affetto e che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

L'UNIVERSITA'


Sono in pochi a sapere che, prima di iscrivermi alla facoltà di Lingue e letterature straniere, ho sprecato due anni della mia vita nella facoltà di fisica. Volevo studiare astronomia, peccato io non sia per niente portata allo studio delle materie scientifiche, non almeno al livello richiesto da una facoltà universitaria. I miei genitori e alcuni professori del liceo avevano cercato di mettermi in guardia ma, si sa, a quell'età si è un po' testardi e ci si crede onnipotenti. È stata dura dover ammettere di aver sbagliato, di aver fallito; ricordo ancora perfettamente come mi sentivo il giorno in cui ho trovato mia madre ad attendermi fuori dalla porta del bagno perché mi aveva sentita piangere sotto la doccia. E non sarò mai abbastanza grata ai miei genitori per non avermi impedito di scegliere quella facoltà, di avermi lasciato la libertà di sbagliare da sola e, soprattutto, di non avermelo mai rinfacciato con un «Io te lo avevo detto».

LA PRIMA VACANZA DA SOLA


Per anni i miei genitori hanno avuto una casa al mare dove ho trascorso tutte le mie estati dalla fine della scuola fino alla ripresa a settembre. Ho sempre considerato quella città della Liguria la mia seconda casa ed è stato bello ritornarci di anno in anno, stessa spiaggia e stesso mare proprio come recita la canzone, e stessi amici aggiungo io. Quando abbiamo deciso di lasciare la casa le ho anche dedicato un post che resta il più cliccato di sempre (lo trovate qui). Comprenderete perché, a parte qualche viaggio studio, io non sia mai stata interessata a fare altro se non tornare tutte le estati lì, dal mio mare, dai miei amici. Così, il mio primo vero viaggio da sola, l'ho fatto con quello che poi sarebbe diventato mio marito. Ricordo l'emozione e l'agitazione la sera prima della partenza, ricordo come invece fosse poi stato tutto naturale e spontaneo condividere le giornate con lui e di come, una notte nella tenda, avessimo deciso i nomi dei nostri futuri figli. Vittoria se fosse stata una femmina.

IL MIO PRIMO COLLOQUIO DI LAVORO


Deciso di abbandonare la facoltà di fisica brancolavo nel buio, la mia autostima era sottoterra e non sapevo cosa fare della mia vita. Per fortuna sono venuti in mio soccorso i genitori della mia amica inglese, conosciuta proprio al mare, che mi hanno invitata ad andare a casa loro. Cambiare aria insomma... I patti con i miei genitori erano chiari: non era una vacanza di svago, avrei dovuto cercarmi un lavoro e mantenermi, loro avrebbero contribuito solo al biglietto aereo e gli amici all'alloggio, nulla di più.
Ai tempi, durante l'estate, nelle vetrine dei negozi era un fiorire di annunci di lavoro, era sufficiente entrare, richiedere il modulo da compilare, riportarlo e poi sperare in una chiamata. Impiegai una mattinata a raccoglierli, il pomeriggio a compilarli e la mattina dopo, con ancora i capelli bagnati della doccia, feci il giro per riconsegnarli. in uno di questi negozi, il responsabile mi fece accomodare e facemmo una piacevole chiacchierata, annaffiata da il primo dei numerosi Nescafè che avrei bevuto a quel tavolo. Fu solo quando mi disse «Però al lavoro non venire in jeans, infradito e con ancora i capelli bagnati» che compresi che avevo appena sostenuto il mio primo colloquio di lavoro e che ero stata assunta.

TANICHINA


Mi dicono che do l'immagine di essere una persona dolce, solare, sempre con il sorriso e pacata. Se chiedeste alla mia famiglia però vi risponderebbero «Sì... al primo impatto...» Se dovessi scegliere un difetto, direi che il peggiore, o meglio quello che mi ha causato più guai perché spesso ha portato al fraintendimento, è il mio essere accondiscendente: sono una pacifista, sono per vivi e lascia vivere, sono per il cerchiamo di andare d'accordo con tutti. Ma le persone sovente mi fraintendono; pensano che io sia un'insicura (e in parte lo sono), pensano, a volte, che io sia una sprovveduta, pensano di potermi sopraffare e lo fanno, non sempre con cattiveria, magari perché mi sottovalutano, o mi vogliono aiutare, proteggere... Non amo gli scontri, non sono competitiva e sono più per il lasciar correre, se il fatto non è grave. Ma non sono brava a dimenticare, mando giù il rospo, poi magari ne mando giù un altro, accumulo, accumulo, accumulo e poi... esplodo!
Parecchi anni fa, quando mio fratello si metteva molto d'impegno e faceva bellissimi bigliettini personalizzati per noi familiari, si inventò Tanichina, la fanciulla a rischio d'esplosione, proprio come una tanica piena di benzina, e da allora è il mio soprannome in famiglia. 
Non siete autorizzati ad usarlo. Mi raccomando, non fatemi arrabbiare...

venerdì 24 novembre 2017

Tra le righe - la mia newsletter


Nel corso degli anni la frequenza con cui ho scritto sul blog è variata nel tempo. Inizialmente postavo molto casualmente, quando riuscivo o quando avevo qualcosa da raccontare; ho poi cercato di programmare i post con una certa regolarità e per un po' di tempo i miei lettori trovavano un mio post il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Quando ho capito che per me erano tempistiche un po' serrate, che mi metteva in difficoltà scrivere così spesso, ho abbassato di molto il tiro e sono arrivata al compromesso attuale di un post alla settimana, il lunedì, con la riserva di pubblicare anche negli altri giorni a mia discrezione.
Nell'ultimo periodo, complice il fatto di aver iniziato a programmare i post, a fare cioè una sorta di calendario editoriale, cosa per cui ero sempre stata un po' scettica e invece ho scoperto essermi molto utile, i post che vorrei scrivere o che ho già pronti nel cassetto sono molti di più. Ho accarezzato l'idea di aumentare gli appuntamenti sul blog, ma dall'altra non mi sarebbe dispiaciuto provare un nuovo modo per raggiungere i miei lettori.
Così, nei giorni scorsi, ho lanciato un sondaggio su Instagram chiedendo se a qualcuno avrebbe fatto piacere ricevere una newsletter da parte mia e il responso è stato positivo.
Definirla newsletter non è propriamente corretto, a partire dalle modalità: non mi avvarrò di nessun programma esistente per regolare l'invio della mail se non le mie sante manine che digiteranno uno per uno i vostri indirizzi. So già in anticipo che non avrò grossi elenchi da gestire e di non necessitare di nessun intermediario, in più quello che per me è fondamentale e per cui sono disposta a prendermi questo ulteriore impegno è proprio il contatto diretto (non vi stolkererò, promesso!). Non scriverò la newsletter puntando ad avere più lettori ma ad avere più amici virtuali. Non mi stancherò di ripetere che la cosa più importante per me è sì avere qualcuno a cui scrivere e raccontare, ma soprattutto il ritorno, cioè scambio e la condivisione che nasce da tutto questo.
Cosa scriverò? Non lo so bene ancora, anzi se avete richieste non esitate, io ce la metterò tutta per non annoiarvi.
Per ricevere la mia mail, che non avrà una cadenza fissa e che riceverete quindi a sorpresa, proprio come sarebbe se vi inviassi una lettera per posta, è sufficiente mandare una mail a leparoleverranno[at]libero.it e mettere nell'oggetto “Scrivimi”.
Gli amici sono il mio «patrimonio». Mi perdoni dunque l'avarizia con cui li accumulo!
Emily Dickinson, Lettera n. 193
Diventiamo amici di penna?

lunedì 20 novembre 2017

La distrazione di Dio


Con i libri dovrebbe essere sempre così: inizi a leggere e vieni rapito, dalla storia, dai personaggi, dalla scrittura. È una cosa che dai per scontata, perché ti fai influenzare dal marketing, dalla pubblicità, dai soliti noti e il fatto che la lettura di un libro sia bella lo dai quasi per assodato. Ti stupisci semmai del contrario, quando non ti piace e "strano, tutti ne parlano così bene..." Se poi sei un lettore come me, poco avventuroso, amante dei classici e quindi non avvezzo a sperimentare e azzardare nelle letture, quando lo fai la sorpresa è doppia; e quante piacevoli scoperte sto facendo da quando ho iniziato a tenere la rubrica #turineisa.
L'ultima è stata quella di Alessio Cuffaro e il suo “La distrazione di Dio” edito da Autori Riuniti. Mentre lo leggevo ricordo che mi domandavo: quanto si sarà divertito a scriverlo l'autore? Spero almeno la metà di quanto io mi stia divertendo a leggerlo! E non è neanche un giallo o un thriller, che per la loro struttura sono per forza portati a tenere legato a sé il lettore; qui non c'è nessun assassino da trovare ne un caso da risolvere.
Eppure non riuscirete a posare il libro presi come sarete dalle avventure di Francesco Cassini, stimato ingegnere nella Torino di fine Ottocento, che un giorno, dopo un incidente mortale, si risveglierà in un altro corpo. Un nuovo fisico da abitare, una nuova vita da imparare. Divertente, vero? Quante volte ci siamo detti «Se potessi ricominciare tutto da capo? Se rinascessi un'altra volta?» E se Dio si distraesse e, per sbaglio, ci regalasse proprio questa possibilità? Solo che... spero di non far venire la pelle d'oca a Cuffaro con questa citazione:
A volte è Dio che sbaglia la tua ordinazione,
per questo se chiudi la porta si apre un burrone.
Fedez
Quante volte mi sono arrabbiata perché non ho ottenuto quello che desideravo, quante lacrime ho speso per questa vita che non era come l'avevo sognata. Dove avevo sbagliato? Cosa avevo fatto per meritarmi tutto questo? Perché io?
Così, come se niente fosse, mentre leggi quella che pensi sia una trovata divertente, l'autore ti fa uno sgambetto e tu capisci che non c'è niente da ridere, qui è di vita che stiamo parlando. E di tempo. E di come impiegarlo. E che farne di quello già speso.
Mi sono chiesto cosa sarebbe successo, della tua e della mia vita, se quel giorno ti avessi dato retta e non ti avessi lasciato entrare. Ma non ha molto senso, ti pare? Uno alla fine si guarda indietro e si lascia tormentare da tutte le opzioni scartate nel corso degli anni. Se avessi fatto, se non avessi fatto. Non serve. È come cercare di ripercorrere a ritroso una partita a scacchi persa, provando a risalire alla mossa che ha compromesso tutto.

Si scoprì esausto. Schiacciato dal peso di una vita troppo lunga che non si era mai preso la briga di guardare e capire. Tutto quello che era riuscito a fare in più di un secolo era stato vivere. Così come veniva. Senza nessun altro scopo che non fosse quello di tirare avanti un po' di più.
La vita può essere un'avventura meravigliosa o una fatica pazzesca, la vita è un azzardo, è una macchina da guidare senza patente, una melodia da suonare senza spartito, è un libro da scrivere senza conoscere il finale; ci sono diversi modi per attraversarla, Alessio Cuffaro ce ne mostra qualcuno, ma la risposta non è univoca, ognuno dovrà cercare il proprio, magari seguendo questo piccolo importante suggerimento nascosto a pagina 89.
L'unica cosa che so della felicità è che non te la possono misurare gli altri come si fa con la febbre.

lunedì 13 novembre 2017

Artissima e perché lo faccio


Perché lo faccio?
Due domeniche fa, subito dopo mangiato, con la speranza che VV dormisse durante il tragitto in macchina, ci siamo recati ad Artissima, la principale fiera annuale di arte contemporanea che si tiene a Torino dal 1994. In realtà in quegli stessi giorni Torino era un tripudio di mostre ed eventi (Paratissima, ClubtoClub, The Others Art Fair, Operae per elencarne alcune), ma noi abbiamo preferito andare sul classico e soprattutto sul conosciuto: trattandosi di arte contemporanea, il rischio che ci sia esposto qualcosa di non appropriato all'età di VV è alto; per come è strutturata Artissima logisticamente, sapevamo come evitare brutti incontri*.


La sera, una volta tornati a casa ho chiesto a VV se si fosse divertita, che cosa le fosse piaciuto e lei mia ha risposto “Nulla. Volevo stare a casa a giocare coi miei giochi”. Se guardate le foto sembrano raccontare un'altra storia: noi sorridenti che sembriamo divertirci come pazzi. E forse, se fossi una influencer, è così che ci dovrei dipingere. Invece io vi voglio raccontare un'altra storia.

(Cercando di stare in bilico sulla linea)
 
VV era visibilmente annoiata, tranne in pochi momenti, era poco interessata, era incuriosita verso poche opere (per lo più le installazioni video) ed ha (per fortuna moderatamente) dimostrato il suo disappunto con lagne e richieste di essere presa in braccio. In totale la nostra permanenza è durata un paio d'ore e il nostro passaggio tra gli espositori è stata una toccata e fuga.

(Segnare sulla mappa i corridoi visitati)
 
Ed ecco il motivo della mia domanda di apertura: perché lo faccio? Perché obbligo una bambina ad annoiarsi e a fare qualcosa che non desidera assolutamente? Non sarebbe stato più riposante e divertente per tutti starcene a casa al calduccio, visto che oltretutto pioveva?
No.

(Fare una gara a chi arriva prima a saltare nel cerchio)
 
I motivi sono due e sono molto semplici.
Avere dei figli è una rivoluzione e comporta dei cambiamenti e stravolgimenti, anche importanti, all'interno della coppia, del singolo e dello stile di vita. Si fanno sacrifici e rinunce ma, per quanto mi riguarda, fino ad un certo punto. Andare per mostre e musei rientra nelle attività che sia a me che a mio marito piace fare e non siamo disposti a rinunciarci perché VV si annoia, anche se sarebbe molto più semplice, facile e comodo, lasciarla ai nonni e andarcene da soli. Inoltre, e qui siamo al punto due, rientra nell'educazione che le vogliamo impartire.

 (Giocare a nascondino con le opere)

Così come le abbiamo insegnato a camminare, a mangiare da sola, le buone maniere e tutto quello che è compito nostro come suoi genitori, riteniamo sia nostro dovere darle anche un'educazione culturale; non siamo disposti e d'accordo nel delegare completamente questo compito alla scuola. Educazione culturale che riguarda ambiti come la musica, i libri, i viaggi e anche l'arte, in tutte le sue espressioni.
Numerosi studi sembrano infatti dimostrare che, fin dai primissimi anni di vita del bambino, l’arte contribuisce a migliorarne le capacità espressive, a favorire l’apprendimento logico, matematico e linguistico, a rafforzare la consapevolezza di sé, a liberare le potenzialità creative insite in esso. In definitiva, essa sembra essere determinante al fine di un’evoluzione interiore dell’individuo.

L’arte, nelle sue forme più varie (arti visive, musica, teatro, danza, etc.), coinvolge infatti tutti i sensi del bambino e ne rafforza le competenze cognitive, socio-emozionali e multisensoriali. Durante la crescita dell’individuo, essa continua ad influenzare lo sviluppo del cervello, le abilità, la creatività e l’autostima, favorendo inoltre l’interazione con il mondo esterno e fornendo tutta una serie di abilità che agevolano l’espressione di sé e la comunicazione.

L'arte:
• incoraggia la creatività e l’auto-espressione, insegnando ai bambini a dire ciò che “non si può dire”, spingendoli a ricercare nella propria poetica interiore le parole adatte a esprimere i propri sentimenti riguardo a un determinato lavoro artistico;
• consente di sviluppare le proprie capacità comunicative. Poiché il linguaggio presenta numerosi limiti, che non gli permettono di contenere i confini della nostra conoscenza, soltanto l’arte ci consente di esprimere sentimenti che diversamente non troverebbero sfogo;
permette di mettersi alla prova in situazioni nuove e di sperimentare il più ampio spettro di sensazioni possibili;
quando presentano una natura multiculturale, favoriscono l’integrazione di chi e di ciò che appare come “diverso”.

L’evoluzione individuale e del vivere civile non può prescindere da una capacità espressiva a tutto tondo, acquisita dall’individuo in modo consapevole, a partire dalla più tenera età e che riconosce alla pratica artistica un ruolo cruciale.

Arte e creatività sono concetti che non devono essere ristretti al “diventare un artista”, ma piuttosto devono agevolare l’individuo nella “creazione”, nel senso più ampio del termine, nella capacità di risolvere problemi in maniera sempre diversa e innovativa, contribuendo così a plasmare una società ed un genere umano sempre migliori.

Ecco perché continueremo, moderatamente per non rischiare di ottenere l'effetto opposto, a portare VV per musei e per mostre, per svolgere, cercando di farlo al meglio, il nostro compito di genitori ed educatori.


*Gli stand creano delle sorte di corridoi, semplicemente o io o mio marito camminiamo un po' più avanti e avvisiamo chi è rimasto indietro se è meglio distrarre o proprio cambiare strada.

lunedì 6 novembre 2017

La vita, ultimamente 28


Al momento in cui scrivo i boschi della Val di Susa sono in fiamme, ci sono ancora temperature da primavera inoltrata (e le zanzare), non piove da mesi e l'inquinamento ha raggiunto livelli allarmanti. Non va bene.
Ho trascorso i fine settimana chiusa in casa o chiusa da Ikea alle prese con gli ultimi lavori di ristrutturazione, lo smantellamento di un paio di stanze, i colori delle pareti che una volta stesi hanno punte di colore che non avevi preso in considerazione e la sistemazione del casino che tutte queste cose comportano. Va bene, ma non benissimo.
Le mie ore d'aria (inquinata) sono quelle che trascorro ai giardinetti insieme a VV o, meglio, insieme alle mamme o nonne degli altri bambini chiacchierando di quest'ultimi mentre sempre quest'ultimi giocano, litigano, si menano, piangono, tentano di rompersi l'osso del collo, corrono un paio di maratone, si scambiano le merende, insomma si fanno le ossa alla vita. Va benissimo. (Sia messo agli atti, molto spesso mi trovo meglio a chiacchierare con le nonne. Mi devo preoccupare?)
La vita ultimamente potrebbe sembrare priva di vette, fuochi d'artificio, stelle filanti, coriandoli e bolle di sapone. E invece no. Ottobre è iniziato con il corso “Di lavoro, leggo” organizzato da NN Editore e che mi sono fatta regalare per il mio compleanno. Non potevo scegliere regalo migliore.

(Una delle bellissime stanze di Villa Mirra, a Cavriana, sede del corso)

Non volevo partire.
Credo di aver fatto meno storie quando si è trattato di recarmi in ospedale per l'operazione. In quel caso io non dovevo fare niente. In quest'ultimo io dovevo fare se non tutto molto e avevo paura.
Quand'era l'ultima volta che avevo viaggiato da sola? Ero ancora capace? Avevo addirittura paura di prendere il treno sbagliato. E se poi non legavo con nessuno? E se mi fossi sentita fuori posto e avessi fatto tappezzeria? E se fossero stati tutti più bravi di me? Ma poi perché lo facevo? Era davvero necessario? Insomma, siamo sicuri che un carcerato abbia proprio bisogno della libertà? Le quattro mura di una prigione possono essere così rassicuranti...
Non che non mi sia mai messa in gioco in questi ultimi anni, che non abbia mai messo il naso fuori di casa, ma in questo caso avvertivo una lieve pressione.


Com'è andata?
Non ho sbagliato treno, anche se confesso di essermi alzata con largo anticipo dal mio posto perché avevo paura di perdere la fermata (lol), ho legato quasi con tutti (eravamo più di 40), non ho fatto tappezzeria e non mi sono sentita imbranata. Ed è questa la magia secondo me che hanno compiuto gli organizzatori del corso: mettere insieme così tante persone, con le competenze più disparate (librai, bibliotecari, lettori, blogger, studenti, aspiranti scrittori, ecc.), con livelli differenti di preparazione e obiettivi da raggiungere e non scontentare nessuno. A unirci, compresi i docenti, era l'amore per i libri e per la lettura, la voglia di condividere conoscenza ma, soprattutto, esperienza e di mettere subito in pratica quanto appreso. Non ci sono stati snobbismi, non ci sono stati paternalismi, c'è stato un “Io mi occupo di questo, ti faccio vedere come lo faccio e poi se vuoi proviamo a farlo insieme”.
Sono stati tre giorni passati gomito a gomito, dove abbiamo condiviso camere da letto e docce, pranzi e spuntini (il catering è stato divino!), computer e penne, risate e scherzi, sbadigli per la stanchezza. Sempre insieme. E' stato un azzardo, poteva risultare pesante, è stato un successo.
Quando vi capita di guardare una ballerina di danza classica muoversi con leggerezza e grazia sul palco di un teatro vi sembra che le riesca tutto facile e naturale, senza alcun apparente sforzo. Il sudore e la fatica sono rimasti dietro le quinte, nelle lunghe ore alla sbarra, nelle prove interminabili, nei duri allenamenti, nei calli dei piedi, nei muscoli doloranti, solo che non viene mostrato. E se davvero si ama la danza, si è disposti a qualsiasi sacrificio pur di raggiungere, o almeno avvicinarsi, a quel risultato.
Il corso “Di lavoro, leggo” è la prima ballerina della lettura. Balliamo?

(Foto scattata a Desenzano del Garda e che si sarebbe poi rivelata profetica...)