lunedì 29 gennaio 2018

I miei buoni propositi per il 2018


Ho preso la patente pochi mesi prima di compiere trent'anni. Non avevo paura di guidare, solo non ero interessata a farlo: mi spostavo agevolmente con i mezzi pubblici o trovavo sempre un amico gentile pronto a darmi un passaggio. Avere o meno la patente non era una cosa che metteva in dubbio la mia indipendenza; ancora adesso l'auto la uso pochissimo.
Eppure questa cosa era inspiegabile per molte se non tutte le persone che conoscevo. Dai 18 ai 29 anni mi sono sentita chiedere in continuazione «Hai preso la patente?» e, alla mia risposta negativa, avevano anche il coraggio di chiedere il perché. Santa pazienza.
Poi a ventotto anni, a seguito di un colpo di fulmine verso una mansarda, quello che sarebbe diventato mio marito ed io abbiamo comprato casa e deciso di andare a convivere. Dopo questo passo importante qualcosa dentro di me è scattato e mi ha fatto decidere che fosse giunto il momento di prendere quella maledetta patente.
In un impeto di vendetta tremenda vendetta, ho deciso di tenerlo nascosto a tutti: mi hai sfraccassato gli zebedei chiedendomi fino alla nausea se avevo fatto una determinata cosa? Ora che sto finalmente per farla, non te la dico. Se vi fa piacere potete aggiungere anche un gne gne gne e fare le boccacce.
Immaginate con che faccia da schiaffi ho tenuto questa conversazione:
«Cosa ti hanno regalato i tuoi genitori per il tuo trentesimo compleanno?» 
«Una macchina»
«Una macchina? Adesso ti toccherà prendere la patente»
«Veramente ce l'ho già»
«Ce l'hai!? E quando l'hai presa?»
Il colpo da maestra è stato rispondere con un «Eh... da un po'...», lasciando l'interlocutore nel dubbio se lo stessi prendendo in giro o lo avessi fatto per tutti quegli anni, dicendo che non l'avevo ancora presa. Come so che ha funzionato? Perché nei mesi seguenti sono tornati alla carica chiedendomi quando di preciso mi fossi patenta e io rispondevo con un amabilissimo «Chi si ricorda...».
Non vi ho raccontato tutto questo per farvi sapere che si, quando ne ho voglia, so essere molto antipatica, ma perché vorrei farvi capire la soddisfazione che si prova a dire le cose solo una volta fatte, a raccontare i propri successi solo una volta che li si è perseguiti. Per non sentirsi chiedere in continuazione nel frattempo: Come va? Come sta andando? Come procede? Ma ce la stai facendo?
L'ho fatto. Punto.
L'ho scritto inoltre per informarvi che sì, ho fatto dei buoni propositi per questo nuovo anno ma che ho deciso di non condividerli. QUI, in modo molto più serio, viene spiegato perché è una buona prassi non farlo.

Gne gne gne!

Be someone that does things, not someone who talks about things.
Darius Foroux

giovedì 25 gennaio 2018

Baby Words


Ho da poco finito di leggere un articolo che sottolineava l'importanza, per crescere, di considerarsi sempre dei principianti; di come per fare bene le cose bisogna sempre ritornare indietro, alle basi. Vivere affianco di un bambino, in questo senso è una fortuna: lui sta crescendo, sta imparando tutto da zero e, sovente, anche quando ti sembra abbia fatto progressi, torna indietro (le famose regressioni). E' un costante correggere la rotta, aggiustare il tiro, ricominciare tutto da capo; è molto stancante, può essere sfinente, ti manda seriamente in crisi.

VV fa parte della mia vita, anzi, è la parte prepotentemente più importante, nel bene e nel male; inizialmente ho provato a scriverne sul blog ma notavo poco interesse rispetto agli altri temi trattati e allora ho diminuito di molto i post a proposito, quando però recentemente ho chiesto su Instagram se avrebbe fatto piacere condividessi di più qui questa parte di vita, come la gestiamo e come la affrontiamo, hanno tutti risposto affermativamente. 

 
La premessa però è proprio questa: non ho trovato la formula magica, non ho trovato la regola che risolverà tutti i vostri i problemi, quello che condividerò è quello che sembra, per ora, funzionare per VV e per noi. Inutile sottolineare che ogni bambino è a sé, ogni famiglia e a sé e, come ho scritto all'inizio, ogni momento della nostra vita è unico: quello che scrivo oggi potrebbe non valere domani. E i bambini amano smentirci.

Quello che mi auguro con questa condivisione è la nascita di un dialogo, di un confronto, anche solo una mano tesa attraverso lo schermo che ti ricordi che non sei solo in questa avventura. E poi, sì, spero di darvi qualche valido suggerimento, ma di riceverne anche!

In ultimo vorrei rassicurare i lettori magari meno interessati all'argomento: questi post saranno un di più, oltre la normale programmazione del lunedì. In sostanza il blog non cambia.
Nell'attesa di iniziare questo nuovo capitolo, se vi fa piacere, qui di seguito trovate alcuni link a dei post che ho scritto in passato e che potrebbero già darvi qualche spunto.

Com'era la cameretta di VV (magari un giorno vi mostro quella nuova) QUI
Come avevo organizzato i suoi giochi QUI
Come gestisco il suo guardaroba QUI
Come abbiamo affrontato il problema dell'alimentazione QUI

Il suo PRIMO compleanno, la sua prima FESTA di compleanno, la TERZA e i suoi QUATTRO anni e la tradizione del Giardinetti Party, QUI e QUI.

Le prime vacanze al mare, il lato negativo QUI, quello positivo QUI, ma la scorsa estate ci siamo rifatti QUI
Il primo vero viaggio all'estero QUI

LETTURE PER BAMBINI

Bruno Tognolini e Pia Valentinis “Mammalingua
Muari Kunnas “Nel mondo di Babbo Natale
Emile Jadoul “Le mani di papà
Mem Fox e Helen Oxenbury “Dieci dita alle mani dieci dita ai piedini
Kyo Maclear e Isabelle Arsenault “Virginia Wolf. La bambina con il lupo dentro
Elizabeth Verdick e Marieka Heinlen “Bedtime
Beatrice Alemagna “Il meraviglioso cicciapelliccia
Peter Bentley e Sara Ogilvie “Mamma e papà
Iris van der Heide e Marijke ten Cate “Una giornata particolare
Malou Adam e Claire Wortemann “L'asilo
Tutti i libri di Lorenzo Naia e Roberta Rossetti, alias La tata Maschio e il Trexapois


Se avete domande, curiosità, temi che vorreste approfondissi, non esitate a chiedere.

lunedì 22 gennaio 2018

Stoner


Se siete persone che amano guardare un film nel silenzio più totale non sedetevi vicino a mia madre. Lei commenta, si scompone, esprime le proprie emozioni, partecipa con ogni fibra del corpo e della voce. Di solito finisce che siamo tutte e due immusonite, io perché ho perso alcune scene, lei perché è stata zittita. Però, grazie a lei, alcuni fotogrammi sono ancora più memorabili, ben impressi nella mia mente.
Come quelli del film “I ponti di Madison County” diretto e interpretato da Clint Eastwood e Meryl Streep. Il film, ambientato nello stato dell'Iowa, narra della storia d'amore tra Francesca, una casalinga quarantacinquenne di origini italiane, e Robert, un fotografo cinquantaduenne. Francesca e Robert si conoscono in un momento in cui la famiglia di lei è fuori città per alcuni giorni; Robert è arrivato con il suo camioncino nella contea per fotografare i famosi ponti coperti, conosce casualmente Francesca e tra i due si crea subito una forte alchimia: dopo il primo giorno trascorso insieme, sembra quasi che non riescano a separarsi. Nascerà presto un rapporto intensissimo che durerà però solo quattro giorni. Il quarto giorno Robert le chiede di lasciare tutto e andare via con lui. Francesca è quindi posta dinanzi alla scelta di dover lasciare la propria famiglia e una vita scontata e monotona per rifarsi una vita finalmente appagante con l'uomo che, per la prima volta, aveva saputo esaltarne interiorità e sensualità. E' ben impresso nella mia mente il momento in cui, in auto con il marito, Francesca vede nello specchietto retrovisore Robert che suona il clacson dietro di loro e che gli fa intendere di essere lì per lei. La tensione che sale nel momento in cui Francesca allunga la mano verso la maniglia della portiera... e mia madre che urla «Scendi! Scendi!».
Non vi scriverò se Francesca ha ascoltato mia madre per non rovinarvi il finale, nel caso non aveste ancora visto il film, ma vi dirò che cosa direbbe sempre mia madre se avesse letto “Stoner” di John Williams.
Imprestandoglielo non potrei fare a meno di metterla in guardia con un “So già che ti farà arrabbiare” e poi ne avrei conferma nei giorni successivi mentre procede nella lettura della vita di quest'uomo, un professore dell'università del Missouri. Un crescendo di rabbia quando lo scoprirebbe succube della vita e degli eventi, che subisce senza reagire sgambetti e colpi bassi all'interno dell'università, che non fa nulla per sollevare le sorti di un matrimonio infelice, neanche porgli fine, per raggiungere il culmine della collera mentre osserva come rimane inerte di fronte alla propria figlia, in balia della madre che le sta rovinando la vita. «Ma come si fa ad essere così?!» sbotterebbe, desiderando fortemente di scuotere per le spalle Stoner cercando di provocare in lui una qualsiasi forma di reazione. E poi si stupirebbe venendo a sapere che questo libro ha avuto un grandissimo successo, che è stato osannato da lettori e critica per la proverbiale bravura dello scrittore nel raccontare la vita normale, se non addirittura banale, di un uomo qualunque; che qualcuno ha affermato risponderebbe agli interrogativi che ci poniamo sul senso della vita.
Mia madre lo descriverebbe come la tragedia di un uomo senza palle, in grado di rovinare la vita sua e di chi gli sta accanto, che se un senso questo libro c'è l'ha è proprio quello di mostrarci come non vivere. Scuotendo la testa e cercando di sbollire il nervoso domanderebbe «Ma davvero è piaciuto così tanto? Non capisco. A me ha fatto così arrabbiare... Forse avevano bisogno di un vile per sentirsi persone migliori».

Il ti piace vincere facile della letteratura.

giovedì 18 gennaio 2018

Cirko Vertigo


Tra Natale e Capodanno, come già scritto, VV è stata male, oltre ad avere l'influenza aveva anche la “mammite acuta”, credo sia un effetto collaterale che si accompagni spesso a qualsiasi tipo di indisposizione nei bambini. Tant'è, la sottoscritta ad un certo punto ha chiesto il time out e si è chiusa nello studio: anche solo guardare la posta al pc può essere un modo per ricaricarsi.


Un altro diversivo, che sembra funzionare bene, è organizzare delle uscite, gite o viaggi, perché il pensiero che ci sia qualcosa di bello che ci aspetta nel futuro aiuta a tenere duro nei momenti difficili. Non ci ho pensato neanche due volte, appena ho visto l'offerta in una mail, a comprare i biglietti per il Cirko Vertigo e il loro “Christmas Show”, proprio per avere qualcosa da fare tutti insieme appena VV si fosse rimessa.


Ed è davvero stato un pensiero felice, oltre che una sorpresa in serbo per VV. Ho fatto ridere molte persone su Instagram quando ho raccontato che Vittoria era così curiosa da averci supplicato di dirglielo, al punto di promettere di fare poi finta di non ricordarsene. Il cervello dei bambini è portentoso.


E' stato un acquisto azzardato perché non sapevo nulla di questa realtà, se non che fosse un circo senza animali, particolare per me fondamentale, e perché in passato era già successo VV si spaventasse molto di fronte a un pagliaccio. “Speriamo in bene” è stato il mio commento.

(All'inizio VV ha creduto l'elefante fosse vero e, in effetti, sembrava)

In un pomeriggio di fitta pioggerellina ci siamo recati così nel parco Le Serre, a Grugliasco in Provincia di Torino, dove ha sede la scuola; ad attenderci il tipico tendone da circo, dove siamo rimasti per ben due ore letteralmente a bocca aperta, in preda all'euforia e l'entusiasmo di fronte a tanta bravura.


Non sto ad elencarvi tutte le informazioni in merito a questa eccellenza italiana, fondata nel 2002, che ha preso parte a diverse manifestazioni e spettacoli teatrali e che nel 2015 è stata riconosciuta compagnia stabile di circo contemporaneo, una delle uniche due ammesse a questo riconoscimento nel nostro paese; vi invito caldamente a visitare il loro sito QUI e, se vi è possibile, a prendere parte a uno dei loro prossimi spettacoli.
Vi divertirete, come bambini.

lunedì 15 gennaio 2018

La mia parola per questo anno


Tempo fa mi è successa una cosa molto curiosa. Nella mia casella di posta elettronica ho ricevuto una mail da un indirizzo sconosciuto, cosa affatto nuova, le caselle spam esistono proprio a questo scopo; il nome non mi diceva nulla ma l'oggetto della mail aveva subito attirato la mia attenzione. 
 
Dove sei?”

Aveva tutta l'aria di essere una mail spam, magari con un virus, eppure quella semplice domanda era molto forte nella sua brevità. Non riuscivo a smettere di fissarla, ci ho pensato un bel po' su, sono quasi stata sul punto di cancellarla senza nemmeno leggerla e poi ho detto “Al diavolo il virus, io rischio!” e l'ho aperta.
Era una mail dal passato, una vita fa come ho scritto al mittente quando gli ho risposto, a una Francesca che ora in parte non c'è più, è molto cambiata ma, alcune cose di lei, quelle più profonde no. Una Francesca che si era iscritta a una newsletter, che per qualche ragione avevano smesso di scrivere e ora riprendeva ad arrivare e per me è stato come se quella mail l'avesse inviata proprio quella me dal passato.
Nella mail di risposta in cui lo ringraziavo ho usato una parola che, guarda il caso, ho ritrovato poi in una delle newsletter successive. Guarda il caso, era anche la fine dell'anno, il momento in cui si fanno i bilanci di quello appena trascorso e i buoni propositi per quello che sta per cominciare. E se c'era una cosa di cui ero sicura era che dopo essere metaforicamente stata avevo voglia di riprendere il mio cammino.
Proviamo a spostare l’occhio di bue sul processo e a notare la bellezza del percorso che stiamo facendo. La preziosità e le scoperte che ci sono “in between”, nel mezzo del cammino. Se ci focalizziamo solo sul raggiungimento dell'obiettivo rischiamo di non vedere e cogliere tutte le sfumature, le possibilità, le scoperte, che si presentano nel percorso, nei passi che facciamo tutti i giorni per costruire qualcosa che ci interessa. Rischiamo di escludere a priori tutto ciò che il caso ci propone e che potrebbe farci incontrare qualcosa di più ricco, visionario, importante, più adeguato e giusto per noi o per l’organizzazione di cui facciamo parte. E magari anche completamente differente da come lo avevamo immaginato.

Proviamo a riflettere sulla parola “intenzione”. Il dizionario della Treccani ci dice che è un orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione. È una direzione della volontà verso un determinato fine. È implicito un orientamento e una direzione della volontà. La cosa veramente interessante è che dentro alla parola “intenzione” non c'è una volontà deterministica, non c'è quella determinazione, non ci sono quei paletti molto precisi che invece la parola “obiettivo” porta con sé. A volte la parola “Intenzione”, nell’intercalare più comune, è legata anche a dei risvolti più rinunciatari ("la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”). Tante intenzioni e buoni propositi che non sono seguiti da fatti concreti.

L’intenzione emerge dal cuore. Indica un orientamento, una direzione della volontà.
"Avere un'intenzione” significa avere sì un senso di direzione, un senso di volontà, ma essere al contempo aperti, pronti ad accogliere cosa capiterà durante il percorso affinché poi si definisca concretamente il dove arrivare, il cosa fare. Quando manifesto un’intenzione c’è già una bellezza, una pienezza. Quando esplicito un’intenzione l’ho in parte già interiormente raggiunta e non comunico, come faccio con l’obiettivo, solo una mancanza di qualcosa. Mentre quando dico: “abbiamo l'obiettivo di arrivare lì”, sono già un po’ frustrato perché significa che quella cosa non ce l'ho, non la posseggo, ci devo ancora arrivare, e la strada è spesso lunga e tediosa... Diciamo che c’è una gentilezza nell'esplicitare le intenzioni, che gli obiettivi non ci consentono invece di percepire. Gli obiettivi sono molto aggressivi, mentre l’intenzione è più gentile, più intima, in un certo senso più concreta e sensata. È come se l’obiettivo parlasse più di numeri mentre l’intenzione parlasse più di attitudini. L’obiettivo mette l’ego al centro, mentre l’intenzione accantona l’ego e mette in circolo anche una gentilezza, una calma che fa sì che si realizzi ciò veramente serve. Quindi, l’intenzione fa anche un altro lavoro molto bello: non crea frustrazione e soprattutto ci allontana dalle ricette uguali per tutti, dalla convinzione -errata- che ci possa essere un solo modo per arrivare alla meta finale e una sola possibile meta.
Questi messaggi che sembrano arrivare dal passato mi confermano che la mia intenzione era giusta, era buona, anche se sembra impiegare troppo tempo a sbocciare; questi messaggi la annaffiano, la concimano” avevo scritto nella mia mail di risposta.

INTENZIONE è la mia parola per questo anno appena incominciato.

(La parte in corsivo è parte della newsletter che mi ha ispirata, se volete saperne di più o iscrivervi anche voi, potete farlo QUI)

giovedì 11 gennaio 2018

Family Time at OGR



Iniziato il nuovo anno e ritrovata la salute abbiamo subito voluto recuperare il tempo passato chiusi in casa facendo la cosa che più preferiamo: visitare posti nuovi insieme.
Il clima non invitava a stare all'aperto così ci siamo diretti alle OGR: le Officine Grandi Riparazioni, maestoso complesso industriale di fine Ottocento nel cuore di Torino protagonista della crescita della città per circa un secolo; trasformato grazie a un importante intervento di riqualificazione da ex officine per la riparazione dei treni a nuove officine della cultura contemporanea, dell’innovazione e dell'accelerazione d'impresa a vocazione internazionale.


In mostra al suo interno fino al 14 gennaio “Like a Moth to a Flame”, come una falena alla fiamma, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che si pone come obiettivo quello di ritrarre la città di Torino a partire dagli oggetti o le opere che i suoi abitanti hanno collezionato.


VV come noi è rimasta molto colpita dal complesso, con le sue aree spaziose e i soffitti alti 16 metri, i muri mantenuti come erano all'origine, così come travi, vetrate e buona parte della struttura.


Le opere sono perfettamente integrate, gli ampi spazi e l'illuminazione studiata permettono di apprezzarle appieno e al loro meglio. Tutto invitava ad essere fotografato per farne ricordo e ognuno di noi ha immortalato la propria opera preferita, o più d'una.

(Una VV poco convinta, nonostante avesse ricevuto il benestare dell'operatore)
Io ho apprezzato particolarmente la gentilezza degli operatori, che hanno accompagnato la nostra visita con il sorriso e che non si sono affatto scandalizzati di fronte alla nostra stupidera, l'arte è una cosa seria, ma questo non significa che debba essere noiosa. Il gioco, se fatto con discrezione, è la migliore forma di apprendimento.

(VV direttore della fotografia: "Ai lati, dritta, senza appoggiarti al muro")
Sono rimasta un po' delusa dall'assenza del bookshop, se ben fatto, per me è sempre un'occasione per scoprire pubblicazioni particolari o oggetti di design originale, oltre che riempirmi gli occhi di cancelleria. Ma mi sono consolata facilmente con una lauta merenda alla caffetteria Snodo, sempre all'interno delle OGR.


Queste sono le cose che mi fanno essere orgogliosa della mia città; non vedo l'ora di scoprire quale sarà la prossima mostra e intanto sogno di riuscire ad assistere anche ad un evento musicale. Mai dire mai...

 (Era stato vietato camminare su queste installazioni che si trovano all'ingresso, non avendo trovato nessun cartello, ne abbiamo approfittato, sia all'entrata che all'uscita)

lunedì 8 gennaio 2018

La vita, ultimamente 30


Dicembre è stato un mese strano; un'alternanza di troppo lento e troppo veloce che a tratti mi ha mandata in confusione: non mi sembrava di fare niente, mi sembrava di fare molto. E' raro che io scriva una lista delle cose da fare, a parte quella della spesa, e invece un giorno mi sono trovata a scrivere cose come “impacchettare i regali di natale”, “fare i biscotti” e “bere cioccolata calda” perché avevo la forte impressione di stare perdendo dei pezzi e avevo il timore di non godermi l'avvento e poi le vacanze di Natale. Ho provato una certa soddisfazione nel spuntarla, quella lista.
Ovviamente le cose non sono andate tutte come avevo sperato. Come da copione di ogni bambino piccolo, VV ha incominciato a stare male la vigilia di Natale e questo ha comportato giorni a casa fino a Capodanno. Avrei potuto approfittare della presenza di mio marito in ferie per lasciare alle sue cure VV e fare qualche uscita in solitaria, invece mi sono lasciata scivolare in una sorta di limbo, in cui il far niente non è stato affatto dolce, a tratti insofferente, per niente riposante. Eppure non me la sento affatto di lamentarmi, si è trattata di una mia scelta e queste giornate lente e pigre porteranno sicuramente qualcosa, ad esempio il ricordo del tempo trascorso insieme.


Un cactus che possedevo da tempo ha fiorito. Due piccoli fiorellini lilla che, quando me ne sono accorta, mi hanno regalato il sorriso e mi hanno fatto chiamare a gran voce VV per condividere con lei la scoperta. Quelle piccole cose che ci ricordano che la magia è tutta lì, nel nostro sguardo e nelle cose più semplici. Soprattutto quelle semplici.


Nel momento in cui scrivo, ho davanti a me ancora una settimana di vacanza fino alla Befana; giorni in cui spero di riuscire a fare qualche uscita in più insieme alla mia famiglia e, nel frattempo, chiarirmi definitivamente le idee su alcuni progetti e temi che vorrei affrontare in questo anno appena iniziato, così da condividerli poi con voi.

 (Il 25 dicembre sera, tutti in vestaglia e una VV febbricitante)
 
(La sera di Capodanno, che abbiamo trascorso in casa)
 
Credo anche di aver trovato la parola dell'anno. QUI la parola di quello appena concluso.